Nell’ultimo decennio (o più), c’è stata una crescita tremenda del numero di studi randomizzati controllati e di meta-analisi che rivelano l’efficacia dell’intervento della fisioterapia e dell’esercizio per persone affette da Parkinson (PD)1. Dato questo accumulo di prove, l’esercizio è considerato ora un elemento importante nel trattamento del PD. Nonostante ciò segni un progresso importante nel campo, c’è ancora molto da imparare al fine di ottimizzare i risultati dei pazienti che assistiamo. Per esempio, quale persona con il PD trae maggior beneficio da un particolare intervento? Un esercizio è migliore di un altro? La dose è importante? Ha importanza la tempistica dell’intervento? Quali sono i meccanismi alla base che spiegherebbero i benefici dell’esercizio?
Ci sono molti aspetti della fisioterapia e degli interventi con esercizi che benefici alle persone con il PD; tuttavia, non tutte le persone con il PD rispondono in modo simile agli interventi.
Numerosi studi di fisioterapia e sugli esercizi includono fino ad oggi persone negli stadi 2 e 3 della scala Hoehn&Yahr. Ciò rappresenta un gruppo molto eterogeneo di persone affette da PD aventi una vasta gamma di sintomi tra cui difficoltà motoria, cognitiva e disabilità non motorie – che possono tutte influenzare la capacità di risposta ad un particolare intervento. Questo approccio “taglia unica” è privo di precisione. Per ottimizzare i risultati, dobbiamo fare un’immersione più profonda. Per esempio, identificare le caratteristiche del paziente, i fenotipi della patologia o i livelli di gravità che possono essere più sensibili ad una particolare tipologia di intervento, può aiutare nel prescrivere il trattamento ottimale a coloro che ne beneficerebbero maggiormente. In questo tema speciale, i ricercatori affrontano questo problema per “scendere nel dettaglio” per identificare i “pazienti con risposta” ad una varietà di interventi o di deficit più specifici che causerebbero la disabilità. Per esempio, Skinner et al2 ha guardato oltre la forza muscolare ed esamina la stabilità della forza muscolare negli arti inferiori, fondamentali per l’equilibrio e la deambulazione. Strouwen et al3 studia le caratteristiche delle persone con il PD che beneficiano maggiormente da un allenamento con duplice compito. Löfgren et al4 fanno luce su quegli individui che sono stati più sensibili verso un programma di equilibrio e di deambulazione più impegnativo.
Oliver et al5 caratterizza l’acquisizione della competenza posturale nelle persone affette dal PD per identificare i fattori che predicono l’apprendimento motorio posturale. Presi assieme, questi studi forniscono ai terapisti obiettivi per l’intervento e un’intuizione su quali caratteristiche prevedono una risposta maggiore negli interventi terapeutici.
La dose ottimale di esercizio per persone affette da PD non è stata determinata. Per comprendere questo complesso ma importante elemento del trattamento, è importante valutare in modo rigoroso l’impatto delle varie dosi dell’esercizio attraverso studi comparativi sull’efficacia. Inoltre, l’identificazione di bio-marcatori, che è alla base delle modifiche funzionali, può fornire dei risultati surrogati su cui valutare gli studi di dosaggio. Alcuni studi sul PD hanno iniziato ad esaminare le differenze tra esercizio ad alta intensità e moderata/bassa intensità con una modalità particolare di esercizio (es. allenamento aerobico).6 In questo tema speciale, Landers et al7 prendono un approccio più pragmatico esaminando le differenze tra un programma di esercizio multimodale ad alta e bassa intensità (aerobico, rafforzamento ed equilibrio). Questi ricercatori esaminano anche i potenziali effetti sulla modifica della patologia tra i programmi di esercizio ad intensità alta contro quella bassa, con l’obiettivo di fornire un approfondimento critico sui meccanismi alla base che possono spiegare i cambiamenti osservati. Altri hanno esaminato la tempistica degli interventi. Per esempio, gli interventi sono più efficaci quando applicati precocemente o successivamente nel corso della patologia? Lirani-Silva et al8 affrontano questo tema ed esaminano come la progressione della patologia può influenzare gli effetti del cueing uditivo sulla compromissione della deambulazione.
Cosa interessante, Rawson et al9 hanno mostrato che il tapis roulant, il tango e lo stretching hanno avuto effetti differenziali su alcuni risultati ma non su altri quando esaminati senza i loro medicinali per il PD.9 Questo suggerisce che, in alcuni casi, identificare il trattamento ottimale per un soggetto dipende sul risultato dell’interesse. Se esaminati attentamente, trattamenti differenti possono condividere elementi di base comuni che portano a simili risultati ed effetti. La relativa somiglianza di alcuni trattamenti (con dosaggio simile) possono consentire ai medici di riconcentrare le loro specifiche “lenti sul paziente” verso un differente tipo di individualità: la preferenza del paziente. Indentificare i programmi entusiasmanti e coinvolgere ad un livello individuale può aumentare l’adesione e la dose, migliorando così l’esperienza del paziente e aumentando il beneficio complessivo dell’intervento.
Il contributo alla speciale tematica sulla patologia del Parkinson indirizza le questioni critiche sul campo per contribuire a far progredire la ricerca neurologica sulla fisioterapia portando ad un trattamento più mirato nelle persone affette dal Parkinson. Con una chiarezza maggiore su chi benefici maggiormente da quale tipologie di trattamenti, i fisioterapisti possono personalizzare i loro interventi al fine di ottimizzare i risultati del paziente. Questo approccio più raffinato è un passo essenziale verso il miglioramento delle vite dei pazienti che assistiamo.
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